Le realtà inafferrabili: il percorso (pagina 2)
Ho sempre pensato che tutto, compresi noi esseri viventi, abbiamo una profonda vibrazione che ci assimila al tutto e credo anche che tutta la materia intorno a noi ne sia inconsapevolmente consapevole. Ma quando la materia si addensa in un organismo dotato di coscienza, essa perda coscienza della primordiale Essenza comune creando le infrastrutture necessarie alla convivenza in modo così distorto da risultare avvolta in un limbo esistenziale. Ed è così che, grazie agli stereotipi, le convenienze, le prevaricazioni, si è perso l'amore, quindi la coscienza dell'Essenza profonda da cui tutti veniamo.
Ho creato allora una serie di immagini che ho chiamato Eskhatos, un mondo di favola, dove ho rappresentato l'irrappresentabile, che non esistere ma che forse... esiste, chi potrà mai smentirlo?
Le anime inconsapevoli delle particelle di Eskhatos concorrono a formare tessuti complessi dotati di una bellezza che non celebrano perché inessenziale alla quotidianità. Non hanno bisogno di apparire perché sono. Vivono e muoiono felicemente e l'infrastruttura necessaria alla loro sopravvivenza è la vita stessa, senza sovrastrutture ideologiche.
La bellezza è il vivere stesso, i colori e le forme sono un dono, l'amore è la mutua interazione senza compromessi, gli interscambi sono subordinati alla necessità o alla probabilità, non hanno l'esigenza di primeggiare, il bello è ciò che le circonda, il sogno è quello che vivono.
Da alcune riflessioni sul mondo di Eskhatos, è nata poi la serie degli Ectoplasmi rappresentanti noi stessi che aleggiamo come ombre su questo limitato e limitante pianeta sociale, in contrasto col nostro vero Essere, in contrasto tra ciò che siamo e ciò che il contesto ci impone di apparire. Siamo Ectoplasmi con vita propria, non il frutto transitorio di uno stato di coscienza sospesa ma, nell'insieme, la coscienza sociale stessa. Non riusciamo a vederci gli uni con gli altri in un ambiente dove empatia e fratellanza non hanno più significato poiché ogni individuo è forgiato a immagine e somiglianza di un sistema che lo usa come strumento, dove ogni azione è tesa all'affermazione di un'apparenza senza sentimento intrinseco o di una convenienza palesemente o sub-liminalmente trasmessa, dove la verità è vera solo all'occorrenza e può essere confutata per esigenze di copione o di potere.
Prende allora forma un sentimento di indifferenza subordinata alla paura sociale di manifestarsi per non deludere, la vergogna di vivere se stessi con i propri limiti manifestando le proprie debolezze (1). Ecco lì, quindi, ciascuno vestirsi di un modello preconfezionato, adatto al bisogno di appagamento effimero, e aspirare ad una sagoma velleitaria di bellezza che esclude gli aspetti non compatibili con il modello stesso, privando la bellezza medesima della sua forma più completa: la semplicità.
Mi ero appassionato a quel tempo alla Teoria delle Stringhe (*), scienza o filosofia che fosse, la trovavo molto coinvolgente. Quell'idea di spiegare il tutto e unificarlo mi affascinava molto. Rappresentavo nella mia mente ciò che difficilmente, o meglio impossibilmente, era rappresentabile. Tutte quelle dimensioni, simmetrie, multiversi e compattificazioni di spazi che lasciano trasparire solo una parte della loro completa ma inafferrabile realtà. Le dualità, in cui apparenti diversità, danno origine a identiche conseguenze e l'idea di un'unica Essenza fondamentale che da vita a tutto quanto ci circonda.