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Le realtà inafferrabili: il percorso             (pagina 1)

Mi è difficile focalizzare ciò ho intorno in ogni istante della mia esistenza. Mentre disegno, non mi configuro chissà quali scenari esistenziali. Provo solo a condividere quello che spesso non so neanche di voler esprimere e non so di contenere ma poi, davanti a un'opera che si compone, intuisco di aver raccolto qualcosa dal fondo della mia anima e avergli mostrato uno spiraglio di luce ideale, quella che cerco immaginandola.

Ritrovai, non molto tempo fa, alcuni miei scritti giovanili e leggendoli, scorgevo l'inquietudine verso un ambiente che già non condividevo, fatto di stereotipi consolidati, di luoghi comuni e di misteriose realtà subliminali da cui ciascuno non avrebbe potuto trarre che una morale fatta ancora di consuetudini, ancora di stereotipi, ancora di luoghi comuni. Avvertivo con fastidio l'idea di qualcosa intorno a me che si perpetuava uguale a se stessa ma diversa in ogni istante e di cui non comprendevo la vera essenza, la trama, l'obbiettivo. Proprio lì trovai molto di quanto, inconsapevolmente, avrei espresso con i miei lavori tempo dopo, come se tutto fosse stato legato a un filo invisibile che non mi aveva mai abbandonato.

Tempo fa, immerso in lucciole e preoccupazioni, facevo un mestiere che guardava un mondo popolato da individui  vittime di un disegno in progressivo e inestinguibile itinere, mai conclusivo e appagante.

Quando smisi, cominciai a riflettere di più su certe cose, sul susseguirsi delle inevitabili vicende quotidiane che tolgono molto allo spirito e danno molto all'ego.

Ho cominciato così a esprimere attraverso le immagini quello che mi sembra di vedere. Mi sono dedicato  alla fotografia provando a cogliere in certe rappresentazioni attimi di emozioni che vedevo solo io, che forse non esistevano, ma io le vedevo. Forse gli altri non le vedevano, ma io le rappresentavo e forse erano invisibili, o forse non c'erano.

Non so proprio cosa sia l'arte, né un'opera d'arte. Ma proprio lì, davanti alle espressioni d'anima di grandi illustratori del mondo e della vita, rimango esterrefatto, incantato, sublimato; vivo altri luoghi e non riesco ad immaginare, e neanche è importante, cosa nella mente dei grandi rappresentatori abbia potuto ispirare quella bellezza, che avrà pure arte e parte, ma non si sa da dove venga.

Col passare del tempo la fotografia non mi ha più appagato perché non riusciva a metter fuori le emozioni compresse che, a stento,  facevano appena capolino. Le foto erano apprezzate, sì, ma non erano ciò che volevo, non rappresentavano ciò che vedevo. L'immagine stampata sembrava appartenere ad un mondo che non conoscevo, erano il simulacro di qualcosa che non apparteneva ai miei schemi espressivi.

Ho cominciato così a fotografare le luci, in situazioni anche pittoresche e attraverso elaborazioni digitali ho pensato di modificare i risultati, avvicinandoli di più a quello che i miei occhi e la mia mente emotiva catturano. Ho trasportato così il mondo chiuso di una fotografia, nel mondo che il mio sguardo coglie, con colori, sprazzi, armonie e sinuosità che meglio si adattano all'emozione della mia percezione. Forse allora potevo esprimere e comunicare in un modo diverso, nel mio di modo, usando pennelli inconsueti, virtuali, senza alcuna consistenza reale,  e dare  vita a immagini che raccontassero qualcosa. In fondo pennello e scalpello hanno quell'intento, io forse avrei potuto raggiungerlo attraverso un computer, un mouse, una tavoletta grafica e ciò che sarebbe infine rimasto delle mie  fotografie.

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